In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
(Gv 15,9-17)
Come va interpretato quel COME IO con cui Gesù propone il comandamento dell’amore? Non è soltanto esemplificativo – fate come ho fatto io – ma anche e soprattutto causale, e forse sarebbe tra tradurre con POICHÉ oppure con SICCOME: l’amore di Gesù per noi, la rivelazione di un flusso inarrestabile di amore che va del Padre a Gesù, da Gesù a noi e che alimenta, sostiene, feconda la nostra possibilità di amare. L’amore di cui stiamo parlando (il termine greco è AGÀPE: l’amore oblativo, il dono di sé, l’impegno e la gioia di uscire da sé verso chi si ama, quello per cui il Padre “sacrifica” il Figlio, per cui Gesù offre tutto sé stesso fino a morire sulla croce) è diffusivo di sé, espansivo, includente e accogliente.
Nel Vangelo di oggi ritroviamo quel verbo RIMANERE/ABITARE che domenica scorsa Gesù usava nel paragone della vite e dei tralci: Gesù vuol farci abitare nel suo amore, creare tra sé e noi la stessa comunione profonda che Egli ha con il Padre. Non mi sembra di sciupare l’intensità della pagina evangelica con una citazione del poeta Gibran: “quando ami non dire: ho Dio nel cuore; dì piuttosto: io sono nel cuore di Dio”. In base a questa circolarità dell’amore, Gesù ci chiama non più servi ma amici e aspetto caratterizzante di questa amicizia è che Lui ci faccia CONOSCERE (il verbo descrive non solo un aspetto intellettivo, ma una relazione affettiva profonda) le cose che lui la udito dal Padre.
Queste cose profonde e sublimi Gesù le sta dicendo nel contesto dell’ultima cena, dopo aver lavato i piedi, al momento di donare simbolicamente nel pane e nel vino il suo Corpo e il suo Sangue, anticipando quello che sta per accadere sulla croce e che vuole perpetuare nell’Eucaristia. Nel Pane spezzato il memoria di Lui arriverà a tutti i credenti, in ogni epoca della storia e in ogni angolo del mondo, il suo amore forte fino alla morte, meraviglioso fino alla risurrezione.
Conseguenza inevitabile, vincolante, in assenza della quale sarebbe profanazione di quel gesto di totale generosità è l’amore reciproco e fraterno trai credenti, e l’offerta di sé per amore all’intera umanità. È questo il “portare frutto” su cui torna a insistere Gesù.
Insomma possiamo dire: a questo Dio che ci ama così tanto, quasi non interessa essere ricambiato da parte nostra, quello che gli sta a cuore è che noi sappiamo amarci tra noi. Lo dice con chiarezza lo stesso evangelista nella sua prima Lettera: poiché Dio ci ha amati, anche noi dobbiamo amarci a vicenda. Dalla stesso testo, la Liturgia di oggi ci propone quello che forse è il vertice della rivelazione divina: Dio è amore.
Giovedì scorso, ho avuto occasione di ascoltare il vescovo Sigismondi (che è l’assistente nazionale dell’Azione Cattolica) il quale, in una corposa e profonda riflessione, a un certo punto ha raccontato l’incontro con la mamma di un figlio gravemente disabile, che lei stava imboccando pazientemente con non poche difficoltà legate al forte handicap del ragazzo. Il vescovo le ha chiesto: ma che cos’è per lei l’amore? E la donna, senza dire parola, ha semplicemente indicato suo figlio. Mi pare il più bel commento al Vangelo di oggi.