È la domenica di Giuseppe. Matteo (1, 18-24) racconta la nascita di Gesù vista dalla sua parte, di promesso
sposo la cui fidanzata aspetta un figlio di cui lui non è padre. Il racconto evangelico ne lascia intuire il
dramma e l’angoscia. Ma Giuseppe è giusto, di quella giustizia biblica che è disponibilità a compiere
fedelmente e integralmente la volontà divina.
Gliela rivela “in sogno un angelo” (Dio che si serve del sonno per agire nella nostra vita è una circostanza
non nuova nella Bibbia, a partire dalla vicenda di un’altra coppia: ad Adamo che dormiva Dio tolse una
costola per creare Eva…). Non addentriamoci in spiegazioni banali o miracolistiche, quello che traspare dal
testo è che Dio è all’opera in una storia di salvezza di cui anche Giuseppe, discendente di Davide, è parte. In
questa storia Dio si manifesta in modi che trascendono la nostra capacità di capire e di decidere e che
tuttavia chiedono al soggetto umano di fare la propria parte. Anche in questa vicenda possiamo davvero
affermare che “Dio ha bisogno egli uomini”.
Dio-fatto-uomo avrà bisogno di Giuseppe, sarà lui a dare il nome e fare da padre e Gesù, che la gente di
Nazaret riconoscerà come “il figlio del falegname”. Se Gesù insegnerà che Dio è PADRE (rompendo quello
che per gli ebrei era una sorta di tabù) e racconterà del Padre che è nei cieli tutto l’amore premuroso e
tenero chiamandolo – con la parola affettuosa di ogni figlio – “Abbà” (il nostro papà, il mi’ babbo di noi
toscani!) è anche perché qualcosa ha imparato da come Giuseppe gli ha fatto da padre.
E allora mettiamo con gioia la statuina di Giuseppe nel nostro presepio, personaggio almeno qui a tutto
tondo al pari di Maria.
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