La seconda parabola con cui la Liturgia ci accompagna verso la fine dell’anno liturgico è quella dei TALENTI (Matteo 25, 14-30). Prima di tutto precisiamo che il talento non è una moneta, ma una quantità di denaro consistente, all’incirca la somma di quanto un lavoratore avrebbe potuto mettere insieme lavorando per una quindicina d’anni senza spendere niente: insomma un discreto capitale, il talento era una quantità d’argento di oltre 25 chilogrammi. Quindi non dobbiamo pensare che il terzo soggetto della parabola, ricevendo un solo talento, abbia avuto poco. Il Signore, nel suo diverso (e da noi imperscrutabile) distribuire è generoso con tutti!
L’uomo (un imprenditore?) che se ne va per un viaggio e ritorna dopo molto tempo, in analogia con lo sposo che non si sa quando arriverà per le nozze, potrebbe essere il Signore Gesù che lascia tanto tempo tra la prima e la seconda venuta. Interpretato così, il lungo viaggio del padrone diventa tutto il tempo (il fra-ttempo) nel quale Dio lascia libero il mondo, la storia e soprattutto gli uomini di organizzarsi, in base ai doni che Lui ci ha dato. Il tempo in cui trafficare i talenti diventa quello tra la prima e la seconda/definitiva venuta di Gesù, o addirittura il tempo tra quando il Creatore ci consegna la creazione da coltivare e far fruttare e gli ultimi tempi, la fine della storia allorché tutto ritornerà a lui, verso la meta finale quando “Dio sarà tutto in tutti!”. Insomma, tempo ne abbiamo, è proprio il tempo il primo talento da spendere e impegnare.
La differenza tra i primi due servi e il terzo non sta tanto nella quantità di talenti ricevuti e restituiti, ma nel modo di trafficarli. I primi due hanno fatto causa comune col padrone, si sono coinvolti, hanno sentita come propria l’impresa con entusiasmo, passione, gioia di raggiungere risultati condivisi; sono stati davvero “servi buoni e fedeli”. Potremmo dire che si sono elevati dallo stato di servi come meri esecutori di comandi altrui, sono diventati servi in altro modo (lo stesso di Gesù, “venuto per servire e non per essere servito”). Il terzo è rimasto estraneo al progetto, ripiegato sulla propria paura, senza sentire il talento come suo: “Ecco ciò che è tuo” dice tirando fuori ciò che aveva nascosto sotto terra. Ed è per come si è comportato che il padrone lo chiama “malvagio e pigro”. Le conseguenze sono inevitabili, nella loro radicale differenza: i primi due avranno parte per sempre alla gioia del padrone, ci sarà posto per loro nel Regno; il terzo resterà fuori, estraneo perché è stato lui ad auto-estraniarsi.
Proviamo a dire qualcosa sui talenti, termine che è passato all’uso corrente per definire qualità, capacità, carismi, inclinazioni: il talento artistico, musicale, sportivo. Qualcuno particolarmente bravo e capace è addirittura definito “un talento”. Ma la diversa quantità sta a dire che ciascuno dei talenti li ha, ognuno ha ricevuto dei doni e insieme è chiamato a cogliere le opportunità e le occasioni per usarli, per sé e soprattutto per gli altri.
Un talento/dono è il tempo, pensiamo a tutto quello che molti fanno attraverso il volontariato. Un talento/dono è il proprio lavoro, sia quello importante che il più umile perché col lavoro ognuno contribuisce a rendere un po’ migliore il mondo, un po’ più umana la società. Un talento/dono è la famiglia, l’essere marito e moglie, genitori e figli con tutti i frutti buoni di una relazione d’amore. Un talento/dono è la fede: i tesori della Parola di Dio e dei Sacramenti li riceviamo per diventare annunciatori, testimoni, diffusori di verità e di amore. Un immenso talento/dono è la creazione, tutti i beni comuni che Dio ha messo nelle nostre mani e che papa Francesco ci invita a rispettare, usare e far fruttare per un’ecologia integrale e solidale.
Lascia un commento