Andato a vuoto il tentativo di “accontentare” l’uomo con ogni sorta di animali, ecco la DONNA posta di fronte all’UOMO. Uomo e donna: non complementari, ma reciproci. La complementarità è funzionale, mettere ogni pezzetto al suo posto, come le tessere di un mosaico, per fare il quadro preciso che però rischia di annullare, appiattire le individualità, le peculiarità di ciascuno. Invece RECIPROCITA’ varietà di qualità, di doni che si arricchiscono a vicenda, fonte di fecondità/felicità, “aiuto che corrisponda”, in cui rispecchiarsi eri-trovarsi, l’altro/a mi è vicino/a perché io sia meglio me stesso/a, mi distingua non contrapponendomi ma integrandomi.
Chi lascia il padre e la madre, chi “si emancipa” non è la donna ma è l’uomo. Se nella società patriarcale era la donna che doveva lasciare (lasciarsi alle spalle… per diventare “sottomessa” all’uomo e al suo sistema, alla sua logica), qui è l’uomo che lascia, è la donna che determina il futuro dell’uomo, le cose davvero importanti per la sua vita portandolo fuori dalla sua casa, dalla sua terra (la storia di Abramo… ma anche “chi avrà lasciato… avrà il centuplo su questa terra e la vita eterna, Mt 19,27ss).
Ora uomo e donna costruiranno la casa insieme, e tutti e due dovranno abbandonare (cose, persone, quello che erano e facevano prima…) per abbandonarsi nell’abbraccio di amore (in cui l’altro non è preso ma accolto, come recita ora il rito del matrimonio). E così l’uomo che aveva trovato inadeguati a sé gli animali, nell’incontro con la donna, trovandosela davanti, dice: Ora sì! Osso delle mie ossa, carne della mia carne: però bisogna stare attenti che quel mio non diventi aggettivo possessivo, può esserlo solo nella reciprocità, come nel Cantico: il mio amato è mio e io sono sua.
Due sviluppi o ulteriori considerazioni:
- L’uomo si trova davanti la donna risvegliandosi dopo che Dio lo ha fatto addormentare… quando e come Dio agisce per il bene dell’uomo (e della donna …) resta un mistero, si può soltanto accogliere, stupirsi: da dove e come viene la donna l’uomo non lo sa, non è dipeso da lui; in ogni storia d’amore c’è una percentuale di mistero, di dono divino…
- “non è bene che l’uomo sia solo”: se questo è affermato modo precipuo per la coppia, per l’incontro tra il maschile e il femminile, la non bontà della solitudine vale anche più in generale: Gesù manda i discepoli a due a due, anche il dodici, almeno in una dei sinottici, sono nominati a coppia… C’è un proverbio secondo cui “un uomo solo è sempre in cattiva compagnia”.
Il testo della Genesi ritorna nel Vangelo di Marco (10,2-16), collocato in una disputa tra Gesù e i farisei sul ripudio concesso soltanto all’uomo. Senza entrare in una spinosa questione (allora il ripudio, oggi il divorzio…; sull’atteggiamento della Chiesa cfr. il cap, VIII dell’Amoris Laetitia) limitiamoci a dire che mentre i farisei vogliono irretirlo con la casistica, Gesù vola alto. A lui non interessa l’esistenza di un “piano B” quando un matrimonio va male (ci dovrà pensare la Chiesa, in qualche modo…), quello che al Signore preme è accogliere il messaggio del creatore non cedendo a quella che è definita come “durezza del cuore”: dal momento che Dio “congiunge”, viene a stabilirsi un vincolo di amore, viene donata la gioia reciproca che è incontro, abbraccio, intimità dei corpi, fecondità.
Il fatto che al passo sul matrimonio ne segua subito uno in cui Gesù accoglie i bambini (tenero e giocoso con loro, atteggiamento opposto a quello dei discepoli) potremmo leggerlo come uno sguardo benedicente del Signore sulla fecondità della coppia: la reciprocità è apertura alla vita, gli sposi sono fecondi attraverso i figli e tante altre possibili forme di accoglienza, ospitalità, condivisione, servizio alla vita.
Domande a cui ogni coppia può provare a rispondere:
- Che cosa ho lasciato/sto lasciando per vivere la mia reciprocità?
- Quanto e come sto accogliendo, sto facendo posto all’altro/a, sono disponibile a “sottomettermi”?
- Quanto e come – noi due – siamo fecondi/felici? Generatori di vita?
P.S. – Non vorrei aver liquidato con troppo poche parole la realtà, in molti casi drammatica, delle coppie separate e/o divorziate e delle seconde unioni, che sono (o si sentono) escluse dalla vita ecclesiale e in particolare dall’Eucaristia. L’argomento merita una riflessione attenta, mi pare che l’approccio di papa Francesco soprattutto con l’Amoris Laetitia ci chieda di essere meno Chiesa giudicante e più comunità accogliente. Compreso il cambio di vocabolario sulle unioni “irregolari”, come anche l’atteggiamento nei confronti delle unioni omosessuali. Fatta salva la necessitò di trovare tempi e modi per approfondire gli argomenti, intanto mi pare chiaro che la prima cosa a cui è chiamata tutta la comunità cristiana – non solo i preti (e i vescovi) – sia l’atteggiamento di misericordia, accoglienza, inclusione. Aggiungo anche una cosa di cui sono convinto: storicamente la Chiesa ha troppo insistito sui peccati relativi al sesto e al nono comandamento e troppo poco sul quinto, sul settimo e l’ottavo. Ad esempio elaborando teorie sulla “guerra giusta” e assolvendo con larghezza il venire meno ai doveri circa la proprietà (l’evasione fiscale è un furto!).
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