Tra questa e le due prossime domeniche la liturgia festiva ci fa leggere tutto il capitolo 25 di Matteo, tre parabole che ruotano intorno a un tema unico: essere trovati pronti. Oggi si tratta di dieci ragazze che attendono lo sposo, domenica prossima di servi a cui il padrone chiede conto di talenti loro affidati e infine, nella domenica di Cristo Re, del giudizio finale che verterà sull’amore.
La parabola delle dieci ragazze (Matteo 25, 1-13) è il racconto di come al tempo di Gesù, in quella terra e in quella cultura, iniziava la celebrazione di un matrimonio: il promesso sposo veniva accompagnato a casa dell’amata da un corteo di amiche di lei. La cosa doveva avvenire di notte, alla luce delle lampade portate da ciascuna delle “damigelle”. Non c’era un’ora certa (come anche oggi a molti matrimoni, ma qui chi ritarda è la sposa…) e lo sposo arrivava a sua discrezione (oggi sarebbe reduce da una festa di addio al celibato…).
Nell’attesa le ragazze si addormentano, vengono risvegliate dall’annuncio che arriva lo sposo e subito mettono mano alle lampade. Ma solo metà di esse possono partecipare al corteo, le altre sono tagliate fuori perché le lampade sono senza olio. Il corteo parte, la festa comincia e le ritardatarie trovano la porta sbarrata e da dentro lo speso dichiara di non conoscerle nemmeno. La parabola si chiude con una sorta di commento da parte di Gesù: “Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”.
Un aspetto è di facile intuizione: lo sposo è Gesù e le dieci ragazze siamo noi: noi cristiani di ogni tempo e luogo, o forse tutti gli uomini e le donne al di là dell’appartenenza religiosa… Le dieci vergini – io preferisco dire dieci ragazze per non connotare troppo la parabola con toni moralistici, a quel tempo vergine o donna prima del matrimonio erano pressoché sinonimi – sono definite per metà stolte e per l’altra metà sagge. Sulla saggezza/sapienza rimando alla prima lettura di oggi (Sapienza 6, 12-16) e mi limito ad accennare che il sapiente non è chi “sa”, ma chi “sa vivere”, chi vive la sua vita davanti a Dio. Invece lo stolto, termine che ricorre più volte nei Vangeli, è chi pensa di vivere come se Dio non ci fosse, presumendo di essere eterno e al di sopra del bene e del male. Quindi nell’essere stolti oppure saggi vediamo condensato tutto il contenuto di una vita in cui Dio conta oppure no, è o non è il termine decisivo di riferimento del comportamento morale, delle scelte fondamentali della persona.
L’olio per le lampade, che nei momenti decisivi uno si trova ad avere o no, è ciò che ciascuno ha accumulato nella sua vita in termini di carità, di amore del prossimo, di rettitudine morale, di altruismo e generosità. Ed è quindi chiaro perché le ragazze senza olio non possono riceverlo da quelle che ne hanno: non perché le seconde siano avare ed egoiste, ma perché sono state le prime a non attrezzarsi di buone opere finché ne avevano tempo e possibilità. Non serve andare a comprare l’olio all’ultimo momento, se prima non c’è stata una costante ricerca animata dal desiderio di farsi trovare con la lampada accesa.
Un altro particolare può aiutarci a riflettere: tutte e dieci le ragazze dormono, la stanchezza del giorno precedente si è fatta sentire per tutte. Come dire che Dio non ci vuole perfetti, gli basta al momento giusto trovarci pronti. Il suo non è un giudizio improvvisato, un’impuntatura dell’ultimo momento. Il suo accogliere o escludere dalla festa è conseguenza dell’aver tirato le somme di tutta una serie di azioni, pensieri, atteggiamenti da cui si deduce quanto era importante l’attesa dello sposo; in altre parole: vivere o no orientati all’incontro col Signore.
Perché all’incontro col Signore tende tutta la parabola, la festa di nozze (qui come in tanti altri testi biblici, tra cui le nozze di Cana) è un indizio per indicare la meta: il grande banchetto finale per l’incontro dello Sposo con la Sposa, di Gesù con l’umanità. Ciò che avverrà in maniera compiuta e definitiva, come annuncia l’epilogo dell’Apocalisse, con cui si chiude la Bibbia: “Lo Spirito e la sposa dicono: «Vieni!». E chi ascolta ripeta: «Vieni!». Chi ha sete venga; chi vuole attinga gratuitamente l’acqua della vita. Colui che attesta queste cose dice: «Sì, verrò presto!». Amen. Vieni, Signore Gesù”.
Ma Gesù verrà solo allora, negli “ultimi tempi”? Credo che l’arrivo improvviso dello sposo nella parabola non sia solo il racconto allegorico di quel che avverrà al termine della nostra vita, e che ogni giorno e ogni circostanza possano essere il momento giusto. La terza delle parabole di Matteo 25 racconterà del Signore che si fa presente – accolto o rifiutato – nella persona del povero, del senza tetto, del malato, dello straniero, del carcerato. Anche questi possono essere venute decisive entrare o no alla festa di nozze.
Resta un’ulteriore domanda: se delle dieci ragazze cinque entrano e cinque sono lasciate fuori, vuol dire che metà dell’umanità è destinata alla perdizione? Non mi sembra che la parabola autorizzi la conclusione della divisione fifty fifty tra dannati e salvati, il messaggio è piuttosto che ognuno di noi ha davanti, alla pari, i due esiti finali. Le parabole delle prossime due domeniche evidenzieranno per l’esito finale in un caso la definitiva condanna di uno soltanto, nell’altro la suddivisone metà e metà. Ma non siano noi, dall’al di qua e della nostra visione limitata, parziale e assolutamente troppo umana, a poter dire qualcosa di certo e tanto meno di definitivo. E sappiamo/speriamo invece che le cose, viste dall’al di là, con gli occhi e il cuore della misericordia divina, stiano tutte in un altro modo: sorprendente, spiazzante e – perché no? – meraviglioso, di eterna bellezza e splendore.
Buona domenica a tutti!
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