La Trasfigurazione: anticipo di Risurrezione

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

(Mc 9,2-10)

Nella Messa della seconda domenica di Quaresima ascoltiamo l’inquietante racconto di Abramo a cui è chiesto di sacrificare il figlio Isacco (Genesi 22). Che razza di dio (la minuscola è d’obbligo) è quello che chiede a un padre di uccidere il figlio? È solo un espediente per mettere alla prova la sua fede, verificare la sua obbedienza e poi far finta di aver scherzato?

Gli studiosi della Bibbia spiegano il racconto collegandolo alla pratica dei sacrifici umani presenti in molte religioni, l’ipotesi è che Abramo, spostandosi in diversi luoghi alla ricerca del vero Dio, sia entrato in contatto con pratiche religiose che prevedono quei sacrifici umani che noi oggi, giustamente, giudichiamo aberranti. Di qui il rigetto di un dio-vampiro che succhia il sangue dell’uomo. Fabrizio De André, che scriveva sempre Dio con la maiuscola, usa la minuscola solo una volta: “a un dio fatti il culo non credere mai” (Coda di lupo).

Per fortuna arriva San Paolo a raddrizzare la prospettiva: il Dio cristiano “non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi” (Rom 8, 32). Ai sacrifici umani Dio sostituisce la “consegna” nelle nostre mani di suo Figlio, unica vittima sacrificale che “una volta per tutte” si carica dei nostri peccati per liberarcene. Fermando la mano di Abramo che brandisce il coltello per uccidere Isacco e poi accogliendo l’offerta sulla croce di Gesù, Dio dichiara di non avere più bisogno di quel tipo di sacrifici. Ma se la salvezza è dono totale e gratuito, ciò non vuol dire che sia offerta a buon mercato, si tratterà sempre di “grazia a caro prezzo” (Bonhoeffer).

Per riceverla non abbiamo più bisogno di sacrificare vittime né di farci vittime, basta con la “religione” praticata per procuraci favori divini. L’offerta che Dio attende e gradisce è la vita fedele al Vangelo, per lui ciò che ha valore è la logica del dono di sé, l’accoglienza dell’altro, il rifiuto degli idoli. Se il Padre dà quel che ha di più prezioso (il Figlio), il cristiano non può “tenere per sé”, dare spazio all’egoismo, alle porte chiuse, alla divisione tra buoni e cattivi, i “nostri” e gli altri… ciò che conta e che vale per questo Padre è scegliere l’ultimo posto, porgere l’altra guancia, amare il nemico… Tutto questo non è conquista umana, ma frutto della vittoria pasquale.

Il Vangelo della trasfigurazione, che quest’anno ci viene proposta nella versione di Marco (9,2-10), indica questa prospettiva mettendoci in cammino con i discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni.

Gesù li vuole condurre al pieno riconoscimento della sua persona e della sua opera: lo hanno già accolto come maestro (lo chiamano Rabbì), adesso si manifesta loro come Messia di Israele (sta in mezzo a Mosè ed Elia) e dalla nube la voce del Padre lo dichiara “Figlio amato”. Le sue vesti bianchissime e sfolgoranti anticipano lo splendore accecante della risurrezione, mentre della morte in croce non c’è menzione esplicita. Ma in questa sezione del suo Vangelo Marco per ben tre volte riferisce l’annuncio ai discepoli dell’imminente passione.

Quello di oggi è già un Vangelo pasquale, indica la meta della Quaresima da poco iniziata. E questo anticipo di risurrezione vuole aiutare i discepoli a non smarrirsi di fronte alla scandalo della croce. Per restare fedeli c’è da fare una cosa sola: ascoltare Gesù, come raccomanda ai discepoli il Padre parlando dalla nube.

Il primo frutto della nostra Quaresima sia un rinnovato impegno di ascolto e confronto col Vangelo: lettura pregata, o preghiera nutrita di Parola; meno chiacchiere e più silenzio orante davanti a Dio. Per dare sostanza alla fede, e vigore alla testimonianza: gesti e impegni di carità cristiana, solidarietà umana, partecipazione civile.

Buona domenica!